GENITORI TRUFFATI. FACEVA CREDERE CHE IL FIGLIO MORTO DI LUPARA BIANCA ERA ANCORA VIVO

Un uomo di Basicò, comune in provincia di Messina, ha truffato per molti anni i genitori di un ragazzo vittima di lupara bianca. L’indagato, si è fatto consegnare in totale circa 200mila euro. Ai genitori diceva: «E’ al Nord, in fuga da Cosa nostra e sta male».

GENITORI TRUFFATI. FACEVA CREDERE CHE IL FIGLIO MORTO DI LUPARA BIANCA ERA ANCORA VIVO –

Un uomo di 44 anni, per anni ha fatto credere ai genitori di un ragazzo scomparso e ucciso dalla mafia col metodo della lupara bianca che il figlio fosse vivo. Ripeteva che il loro congiunto era ammalato e in fuga per salvarsi dalla vendetta di Cosa nostra.
Il personaggio, sfruttando la fiducia dei due anziani preoccupati per l’incolumità del figlio, si è fatto consegnare almeno 200mila euro riducendo la coppia in povertà. Oggi i carabinieri del comando provinciale di Messina, guidati dal colonnello Iacopo Mannucci Benincasa, l’hanno arrestato per truffa aggravata. Protagonista della storia è Francesco Simone, 44 anni, di Basicò, paese in provincia di Messina.
L’indagine, coordinata dalla Procura di Barcellona Pozzo di Gotto, è iniziata dalle dichiarazioni dell’ex fidanzata dell’arrestato, che si è rivolta ai carabinieri di Montalbano Elicona. Agli investigatori la donna ha raccontato che per oltre 10 anni l’ex compagno aveva avuto contatti quotidiani con i genitori di Domenico Pelleriti, un giovane di cui si erano perse le tracce dal 1993. Il truffatore aveva fatto credere alla coppia che il figlio si era trasferito al Nord e che era gravemente malato e bisognoso di denaro per curarsi e comprare le medicine. Per rendere veritiere tutte le menzogne raccontate, li aveva ulteriormente ingannati simulando al telefono di essere il figlio, camuffando la voce. Simone andava a ritirare il denaro personalmente nella casa dei due anziani. A volte, temendo di finire sotto inchiesta si faceva lasciare le somme nella cassetta della posta di una casa cantoniera.
Le indagini avviate dalla Stazione Carabinieri e dai militari della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto, coordinate dal pm Rita Barbieri, hanno permesso di fare luce su una storia drammatica e crudele in cui le vittime sono state sottoposte a una vera e propria tortura psicologica.
E’ stato scoperto che Pelleriti nel 1993 è rimasto vittima della lupara bianca, per mano della mafia barcellonese. Il corpo, a lungo cercato dai carabinieri, non è mai stato trovato. Nel dramma della sparizione del figlio, vissuto dagli anziani genitori, si è inserito l’indagato, facendo credere alla coppia che da quello che dal denaro che racimolavano dipendeva la sopravvivenza del ragazzo.
Il ragazzo si chiamava Domenico Pelleriti ed è scomparso da Basicò (Me) nel marzo del 1993. Si presume sia stato ucciso dalla mafia, il suo corpo non è mai stato trovato. Sul delitto di Pelleriti ha fatto luce recentemente l’indagine denominata “Gotha VI” effettuata dai carabinieri del Comando Provinciale e della Sezione del Ros di Messina. Pelleriti, hanno raccontato i pentiti della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, pur non appartenendo alla criminalità organizzata, sarebbe stato coinvolto in un giro di ladri d’auto ed era sospettato di avere compiuto dei furti a un commerciante che pagava il pizzo all’associazione mafiosa.
I capi della “famiglia” barcellonese, non potevano tollerare che la loro autorità venisse messa in discussione e decisero di ucciderlo insieme al complice. Portato in un casolare con un tranello, venne torturato per fargli confessare il furto. Poi, dopo essere stato condotto a una fossa che era stata scavata per lui, fu ucciso con due colpi di pistola alla testa. Poi, il cadavere venne seppellito in un agrumeto, ma le ricerche svolte a distanza ormai di anni dal delitto non hanno consentito di recuperarne il corpo. col passare del tempo il terreno è stato disboscato e spianato con escavatori che potrebbero avere disperso i resti.
Ritornando alla presunta truffa, secondo le indagini che sono state condotte dagli investigatori, l’indagato, ha di fatto annullato psicologicamente gli anziani genitori, facendoli vivere un clima di paura, intimidazione e sofferenza. Infatti, temevano che non pagando più avrebbe causato l’interruzione del rapporto con il figlio che, per loro, non solo era molto malato, ma era anche in fuga dalla vendetta della mafia.
Nel giro di 15 giorni gli investigatori hanno accertato ben 11 consegne di denaro di 50 e 100 euro ciascuna che recuperavano dai pochi guadagni dei genitori ottantenni di Pelleriti e da quelli della zia 86enne, tutti e tre titolari di una pensione da bracciante agricolo.
I due anziani, da anni in situazione economica drammatica, sono stati depredati di ogni loro bene e denaro, tanto da essere costretti a vendere anche un immobile e coprirsi di debiti. E nella ricerca di soldi sono arrivati addirittura a considerare l’idea di rubare i risparmi della nipote.