Il Teatro Massimo Bellini inaugura venerdì 4 la stagione sinfonica 2019 con il Requiem di Mozart diretto da Gianluigi Gelmetti. si esibiranno l’Orchestra, il Coro – istruito dal direttore stabile, Luigi Petrozziello – insieme al soprano Elena Galitskaya, al mezzosoprano Veta Pilipenko, al tenore Giovanni Sala e al basso Karl Huml.
IL REQUIEM DI MOZART APRE LA SINFONICA AL BELLINI
Il Requiem di Mozart apre la sinfonica al Bellini. Venerdì 4 il Requiem per coro e orchestra, K 626, di Wolfgang Amadeus Mozart inaugurerà, la stagione sinfonica 2019 del “Bellini”. Sotto la prestigiosa direzione di Gianluigi Gelmetti si esibiranno l’Orchestra, il Coro – istruito dal direttore stabile, Luigi Petrozziello – insieme al soprano Elena Galitskaya, al mezzosoprano Veta Pilipenko, al tenore Giovanni Sala e al basso Karl Huml.
Il maestro Gelmetti – star internazionale, compositore e regista – è stato direttore dell’Orchestra della Radio di Stoccarda, di quella della Rai di Roma, dell’Orchestra Sinfonica di Sidney, direttore musicale e artistico dell’Orchestra Filarmonica di Monte-Carlo, direttore onorario del Teatro “Verdi” di Trieste, nonché Premio Rossini d’Oro.
Il Requiem, rimasto incompiuto, venne composto nel 1791, l’ultimo anno di vita dell’autore; un anno ricco di capolavori come Il flauto magico – in cui riascolteremo i medesimi interpreti lirici – che inaugurerà la stagione lirica il 20 gennaio.
Il senso di mistero che da secoli avvolge questa come altre grandi ‘opere incompiute’, e che ha emozionato innumerevoli platee, ispirando opere letterarie, nutrendo leggende, equivocando e spesso falsando la verità storica, è certamente legato alla lugubre committenza e all’inquietante sincronismo con la precoce morte del suo autore che a trentacinque anni chiudeva una splendida e feconda carriera iniziata con un esordio da “piccolo genio”.
I primi saggi di composizione di un Mozart di appena 8 anni risalgono infatti al 1759. Il padre Leopold, suo entusiasta maestro lo conduce ben presto in Europa, in viaggi musicali – che continueranno lungo l’intera vita – per farlo conoscere.
Il decennio 1781-91 fu quello dei capolavori:Le nozze di Figaro, ricavato dalla commedia di Beaumarchais, e il Don Giovanni e Così fan tutte, con i libretti di Lorenzo Da Ponte, Die Zauberflöte su libretto di Schikaneder, La clemenza di Tito, su un vecchio libretto rimaneggiato di Metastasio che si sommano ad una enorme produzione, specie se confrontata con la sua breve vita.
Il catalogo delle sue opere, compilato da Ludwig von Köchel nel 1862, elenca 626 composizioni che hanno dato luogo a letture critiche disparate: dall’interpretazione “classica” di Jahn (1856 e il 1859) o quella “espressiva” di E. Hanslick (1854), a quella “storica” (1911-46) di de Wyzewa e de Saint-Foix a quella “preromantica” di Einstein (1945).
Nell’estate di quel fatidico 1791 un musicista dilettante, un certo conte Walsegg, tramite un suo emissario – quasi certamente Johann Puchberg, commerciante e abituale creditore del maestro – commissionava a Mozart una ‘Messa da requiem’ per la moglie defunta, a condizione, sotto il vincolo di segretezza, che il committente – intenzionato a far passare l’opera per propria- restasse anonimo.
Da questo episodio prende vita la leggenda, priva di fondamento, secondo cui Mozart sarebbe stato avvelenato, per gelosia, dal compositore italiano Antonio Salieri, un mito che ha affascinato diversi autori.
Aleksandr Sergeevi? Puškin nel 1830 scrisse Mozart e Salieri in cui il geloso Salieri fa commissionare il Requiem, per poi uccidere l’autore, far passare il brano per suo e suonarlo al funerale dello stesso Mozart. Nel 1898, a Mosca, andava in scena Mozart e Salieri di Rimskij-Korsakov, basato sulla tragedia di Puškin. Nel 1978 , a Londra va in scena Amadeusdel drammaturgo Peter Shaffer che riprende Puškin. Infine è del 1984 Amadeus di Miloš Forman, un film in cui gran parte della trama è una libera ricostruzione.
Mozart, allettato dal lauto compenso accettò, ma temporeggiava. Era invero impegnato nella composizione del Flauto magico, in cui voleva tra l’altro esprimere, in un linguaggio musicale accessibile, l’affetto e la solidarietà fra le persone attraverso i simboli dell’ideologia massonica.
Era stato iniziato, infatti nella loggia ‘Alla beneficenza’ nel1784, divenendo ‘maestro’ l’anno dopo, smorzando in seguito la sua attività a causa delle leggi repressive di Giuseppe II, ma rimanendo fedele ai suoi profondi convincimenti esoterici e spirituali.
Alla musica massonica appartenevano già, la cantata K 471 del 1785, l’adagio per due clarinetti e tre corni di bassetto K 411 dello stesso anno, la musica funebre massonica K 477 (sempre del 1785), e la cantata, ancora del 1791, per tenore e pianoforte Die ihr des unermeßlichen Weltalls Schöpfer ehrt K 619, su testo di Franz Heinrich Ziegenhagen, esponente dell’Illuminismo radicale ed egualitario.
Mozart addirittura, per scrivere l’ultima sua opera compiuta, la Piccola cantata massonica K 623, mise ancora una volta da parte il Requiem, il cui completamento fu affidato dalla vedova del compositore al giovane Franz Xaver Süssmayr, allievo e amico del maestro che terminò il lavoro, completando le parti non finite e scrivendo ex novo quelle inesistenti.
Mozart aveva completato solo i primi due pezzi (Introitus, Kyriee parte del Dies irae) e aveva lasciato appunti fino all’Hostias, con i quali sviluppare le parti seguenti. Sostanzialmente il Requiem si articola in otto differenti grandi numeri musicali: nn. 1-2. Introitus (di Mozart) e Kyrie (il coro è dell’autore); n. 3. Dies Irae e n. 4 Offertorium (in gran parte di Mozart); n. 5 Sanctus, n. 6 Benedictus, n. 7 Agnus Dei (di Süssmayer); nel n. 8, Communio, Süssmayer riprende testualmente la musica dei nn. 1-2. Introitus e Kyrie.
È tuttavia indiscutibile che, anche in questa veste compromessa, il Requiem appaia come un capolavoro e risulta all’ascolto, sorprendentemente, opera unitaria.
Nel dicembre del 1791, Mozart moriva, non certo di avvelenamento, ma secondo il certificato di morte di “febbre miliare acuta”, o secondo altre ipotesi avanzate nel tempo di nefrite, febbre reumatica o sifilide, con un aggravamento dovuto ai frequenti salassi.
In una lettera indirizzata presumibilmente a Lorenzo da Ponte così scrive lo stesso Mozart: «Aff.mo – Signore. Vorrei seguire il vostro consiglio, ma come riuscirvi? Ho il capo frastornato, conto a forza, e non posso levarmi dagli occhi l’immagine di questo sconosciuto! Lo vedo di continuo, esso mi prega, mi sollecita ed impaziente mi chiede il lavoro. Continuo perché il comporre mi stanca meno del riposo. Altronde non ho più da temere. Lo sento a quel che provo che l’ora suona; sono in procinto di spirare; ho finito prima di aver goduto del mio talento. La vita era pur sì bella, la carriera s’apriva sotto auspici tanto fortunati, ma non si può cangiare il proprio destino. Nessuno misura i propri giorni, bisogna rassegnarsi, ma sarà quel che piacerà alla provvidenza. Termino ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto».
È questo il tragico significato del Requiem per coro e orchestra K 626, di questo ultimo, dolente canto di Mozart.
Silvana Raffaele
Commenta per primo