Un meraviglioso spaccato di ciò che vuol dire essere meridionali, napoletani e siciliani in particolare, sarà tratteggiato plasticamente sabato 19 (alle 17 e alle 21) e domenica 20 dicembre (alle 18 e alle 21), al Teatro Don Bosco di Catania, sito in viale Mario Rapisardi 56.
Come si rapina una banca di Samy Fayad è il secondo evento in programma nell’ambito della rassegna teatrale organizzata dall’Associazione Teatro a tre Alterazione. La sensazione è che, dopo il boom di Non ti pago con cui si è aperta la stagione teatrale 2009-2010, a cavallo tra il 31 ottobre e l’1 novembre, il successo continuerà ad arridere alla giovane compagnia, il cui intento principale è quello di dilettare il pubblico che assiste alle rappresentazioni teatrali. Ancora una volta in evidenza saranno le curiose e stimolanti analogie tra l’essere tipico del siciliano e i tratti salienti della più sincera napoletanità.
“Nel vortice di 3 divertentissimi atti – spiega la regista Melina Distefano, che è anche organizzatrice della kermesse – ci cimenteremo con un capolavoro comico indiscusso del teatro mondiale. Attraverso l’interpretazione di attori navigati come Giovanni Puglisi e Nicola Diodati e alla fresca intraprendenza di giovani talenti che stiamo lanciando, come Elisa Bologna, vogliamo consentire al nostro pubblico di fruire di uno spettacolo assolutamente godibile, senza per questo appesantire la narrazione scenica di pleonastiche ridondanze o pedanterie di maniera. Si tratta di una storia di attese ed aspettative mai risolte, di contrasti anche amari, ma affrontati con quella filosofia che è caratteristica di chi vive in città come Napoli (e Catania), in cui tutto assume un significato diverso rispetto alle apparenze”. L’opera originale fu scritta dal giornalista e commediografo francese, di origine libanese, Samy Fayad, che visse a Napoli negli anni ’30 del secolo scorso, scegliendo la città partenopea come l’esempio più illustre dei tic, degli umori e delle follie degli italiani in generale e dei meridionali nello specifico.
Semplicità e ricerca della più verace “vis comica” siciliana saranno dunque i tratti salienti di una mise en scene ambientata negli anni ’60 in una Napoli invasa dal boom edilizio, che si illude vanamente di poter abbracciare il vero benessere economico e sociale. Benessere che però non sembra lontanamente sfiorare il protagonista Agostino Capece, il quale vive emarginato, con tutta la famiglia, in una delle ultime baracche dalla città. La famiglia Capece, caduta in miseria, si arrangia inventando ogni giorno qualche nuova trovata per tirare avanti. Agostino, improvvisato e poco attendibile avventore, è fermamente convinto che il proprio genio risolleverà le sorti della famiglia. Meno convinta è invece Gina, la moglie del protagonista, così come nonno Gaspare, attempato papà di Agostino e i figli Tonino e Giuliana.
E’ da lì che prende corpo un fitto e brillante turbinio di esilaranti battute che trascinano lo spettatore in un’atmosfera di irresistibile ilarità, fino a quando Agostino, con tutta la famiglia, compresa la figlia incinta, sbarca in una banca per mettere a segno una rapina tanto improponibile quanto sprovveduta.
Una storia di contrasti tra la ricchezza di un mondo che corre ed ha fretta e la miseria di chi è rimasto indietro, per scelta o per caso, come il “figlio ciecato di una gatta frettolosa”.
A chiudere in bellezza il sipario, oltre a continui e spassosi colpi di scena, sarà un finale ricco di vivacità e suspense.
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