Scoperto il depistaggio del falso pentito Vincenzo Scarantino, la Procura di Caltanissetta prova a ricostruire la complicata indagine che ruota sulla morte del giudice Paolo Borsellino. Quattro collaboratori di giustizia avrebbero ingannato da circa sette anni, quindi dal 1996 i magistrati, giudicanti e requirenti, di Caltanissetta, Catania e della Cassazione. Questi, inbonivano una false verità che tutti hanno preso per buone, richiedendo e determinando l’ergastolo a degli innocenti ritenendoli, ingiustamente, colpevoli di aver avuto ruoli importanti nella strage di via D’Amelio. Nella nuova inchiesta sulla strage Borsellino, tra i calunniatori, l’ultimo, in ordine di tempo, a tornare in cella per aver mentito, sarebbe il pentito Calogero Pulci, colpevole secondo la procura di Caltanissetta di aver calunniato un innocente.
Il falso collaboratore di giustizia, è indagato per calunnia aggravata in quanto “nel corso dell’esame dibattimentale reso, in grado d’appello, nell’ambito del processo ‘Borsellino bis’ per la strage di via D’Amelio, ha indicato ingiustamente – dicono i Pm di Caltanissetta – Gaetano Murana, pur sapendolo innocente, di aver partecipato alle fasi esecutive dell’attentato compiuto il 19 luglio 1992, dichiarando inoltre che il Murana, in occasione di un colloquio avuto al carcere di Caltanissetta, gli aveva riferito, in relazione all’esecuzione dell’attentato, “il lavoro l’abbiamo fatto noi della Guadagna”, accusandolo quindi della commissione del delitto di strage, per il quale il predetto Murana è stato condannato all’ergastolo.
Gli altri tre creduti calunniatori, che secondo la Procura di Caltanissetta, avrebbero intenzionalmente imbrogliato Pm e giudici di Corte d’assise, sono, Francesco Andriotta, Vincenzo Scarantino e Salvatore Candura. Questi ultimi, secondo la procura nissena, non solo avrebbero dichiarato il falso al processo, ma potrebbero avere anche calunniato tre poliziotti del gruppo investigativo dei magistrati Falcone e Borsellino. Critica la posizione di Scarantino, qualora la tesi della procura dovesse giungere a sentenza di condanna definitiva, e sarebbe la terza volta. Infatti, nel 2002, si è visto affibbiare dal gup di Roma, Renato Croce, 8 anni con il rito abbreviato di carcere, per calunnia nei confronti del defunto capo del gruppo speciale Falcone-Borsellino e dei magistrati Anna Palma e Carmelo Petralia perché nel settembre del 1988, ritrattando le accuse che aveva fatto nei confronti di alcuni imputati dei processi sulla strage di via D’Amelio, aveva sostenuto che gli erano state estorte da Arnaldo La Barbera, e dai magistrati con minacce e vessazioni in carcere.
Decisiva la collaborazione del pentito Gaspare Spatuzza, l’ex killer di Brancaccio che rubò la Fiat 126 poi imbottita di esplosivo. Nei mesi scorsi, le dichiarazioni del “picciotto” hanno portato alla scarcerazione dei sei condannati ingiustamente. Oggi, fanno scattare quattro ordinanze di custodia cautelare, che sono state firmate dal gip Alessandra Giunta. I provvedimenti sono stati notificati in carcere dalla Dia al capomafia pluriergastolano Salvino Madonia (accusato di aver partecipato nel dicembre 1991 alla riunione della Cupola in cui si decise l’avvio delle stragi), poi è toccato ai boss Vittorio Tutino e Salvatore Vitale (il primo rubò con Spatuzza la 126 per la strage, mentre il secondo abitava nel palazzo della madre di Borsellino, in via d’Amelio, e avrebbe fatto da informatore). Il quarto provvedimento come sopra spiegato riguarda il pentito Calogero Pulci, che era l’unico in libertà. La Procura aveva chiesto l’arresto di una quinta persona, il meccanico Maurizio Costa, a cui Spatuzza si rivolse per sistemare i freni della Fiat 126, ma il gip ha rigettato la misura. Costa resta indagato a piede libero per favoreggiamentro aggravato.
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