Trapani. Il mega blitz di stamane ha impegnato le varie forze polizia facendo terra bruciata attorno all’ultimo latitante mafioso Matteo Messina Denaro. Nel corso dell’operazione antimafia denominata “Eden” che ha coinvolto polizia, carabinieri, guardia di finanza e Direzione investigativa antimafia (Dia), sono stati arrestati personaggi di spicco dei clan e alcuni familiari di Messina Denaro. Intanto, il boss 51enne è ricercato dal 1993 per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto. Fermati anche imprenditori, professionisti, funzionari pubblici, con l’accusa di favorire aziende edili in qualche modo collegabili al boss latitante. Tra gli arrestati, oltre a Patrizia Messina Denaro (che portava messaggi del padrino agli altri uomini del clan), altre sei donne. Gli investigatori hanno interrotto i vari intrecci di amicizie, connivenze, rapporti di affari, che in questo momento rendono il clan Messina Denaro tra i più potenti sotto il profilo economico della mafia siciliana. Ci sono anche alcuni familiari del super boss latitante Matteo Messina Denaro tra le persone arrestate in provincia di Trapani. nel corso di un’imponente operazione antimafia (nominata “Eden”) che ha coinvolto polizia, carabinieri, guardia di finanza e Direzione investigativa antimafia (Dia).
Sono complessivamente 30 gli arresti: in carcere, tra gli altri, sono finiti la sorella del numero uno di Cosa nostra, Patrizia, il nipote Francesco ‘Ciccio’ Guttadauro, i cugini Giovanni Filardo, Lorenzo Cimarosa e Mario Messina Denaro. I provvedimenti di arresto, emessi dal gip di Palermo, riguardano le famiglie mafiose di Castelvetrano e Campobello di Mazara. Le accuse nei confronti degli indagati sono, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, intestazione fittizia di beni ed estorsione. Tra gli arrestati ci sono anche due tecnici del ministero della Giustizia che lavorano presso il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, Giuseppe Marino e Salvatore Torcivia. Torcivia avrebbe avuto un ruolo nella turbativa d’asta, manipolata sempre in favore della Spe.fra. relativa a due diverse procedure per i lavori all’Ucciardone (una di circa 44 mila euro per la realizzazione di impianti di sicurezza e un’altra di circa 37 mila euro per l’allacciamento di impianti tecnologici). Mentre Marino avrebbe intascato mazzette per favorire una ditta, la “Spe.fra.”, nei lavori di manutenzione e ristrutturazione all’interno del carcere palermitano dell’Ucciardone. Secondo gli inquirenti, gli indagati esercitavano da anni un controllo capillare e con modalità riconducibili a Cosa nostra sulle attività economiche e imprenditoriali della provincia di Trapani.
Tutto il “Business” era gestito in gran parte direttamente dai parenti del capo mafia e che consistevano soprattutto in “un articolato circuito imprenditoriale, che assicurava di fatto il controllo quasi monopolistico nel settore dell’edilizia e relativo indotto, mediante la gestione e la realizzazione di importanti commesse, tra cui opere di completamento di aree industriali, parchi eolici, strade pubbliche e ristoranti. L’organizzazione era, infatti, in grado di monitorare costantemente le opere di maggiore rilevanza del territorio, intervenendo nella loro esecuzione con una fitta rete di società controllate in modo diretto o indiretto da imprenditori mafiosi ed elementi di spicco del sodalizio”. Sempre nel contesto dell’operazione, la guardia di finanza sta procedendo al sequestro preventivo di aziende riconducibili al latitante intestati a prestanome, costituiti da società operanti nel settore dell’edilizia, per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro.
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