“CIATU” FA IL PIENONE ALLO STABILE DI CATANIA

È un susseguirsi di azioni apparentemente incomprensibili che piano piano prendono posizione rendendo equilibrata ogni sequenza. Minuto dopo minuto appare sempre più chiaro che il palco è solo una piattaforma sulla quale ciascuno dei protagonisti mostra la sua essenza. Non c’è una storia, ce ne sono tante.

“CIATU” FA IL PIENONE ALLO STABILE DI CATANIA –

Teatro colmo, volti accesi d’aspettativa e maschere di abituale gentilezza: è lo scenario che si presenta non appena varcata la soglia del Teatro Giovanni Verga di Via Fava. Si percepisce un clima accogliente, troppo caldo per alcuni, sebbene frutto di un febbraio inusualmente primaverile che ha la meglio sui cappotti. Una piccola attesa per i ritardatari e poi luci spente. A richiamare l’attenzione è una presentazione inaspettata. Microfono, fogli in mano e aria rassicurante: il presentatore regala al pubblico pochi minuti di raccolta, riflessivi, per poi accomodarsi in sala, tra le ultime file. Lascia un’atmosfera introspettiva, che non fa che preannunciare uno stato emotivo che sarà persistente per tutta la durata dello spettacolo.
Il palco si anima: abiti bianchi, volti assorti e gesti inconsueti. È un susseguirsi di azioni apparentemente incomprensibili che piano piano prendono posizione rendendo equilibrata ogni sequenza. Minuto dopo minuto appare sempre più chiaro che il palco è solo una piattaforma sulla quale ciascuno dei protagonisti mostra la sua essenza. Non c’è una storia, ce ne sono tante. Ognuna incastonata nella semplicità di un respiro, di un ciatu, e nella cornice di un personaggio onniscente, Giordano Bruno. Una voce fuori campo, il racconto del suo martirio e la visione dell’ordine nel solo concetto più ampio della diversità.
Ciatu è l’esprimersi di anime oltre i corpi: anime che attraverso quegli stessi corpi mostrano la loro essenza. E così individui “abili” diventano i fili di corpi disabili che ballano, recitano e si muovono. Ogni gesto è armonico ed esatto. Ogni sequenza prende lo spettatore per mano e lo accompagna in una realtà sconosciuta: quella del maestoso canto lirico di un corpicino esile, quella delle parole profonde di una bocca che può parlare solo con gli occhi, quella di una danza vanitosa o di una fiaba reinterpretata.
Bambini, adulti, alti, bassi, robusti, esili, autonomi, dipendenti, silenziosi, esuberanti, cantanti, ballerini, attori: armonia e perfezione sono i taciti sottotitoli di uno spettacolo che ha ripetutamente messo in pedi il pubblico. Spettatori attenti e dall’atteggiamento fortemente critico: persino il più duro degli uditori che ai primi minuti ha definito la scena una forma di “strumentalizzazione della disabilità” ha poi compreso e gioito.
A fine spettacolo volti rigati di commozione e lucidi di consapevolezza si osservavano l’un l’altro in ovazione. Ognuno arricchito e fiero di aver scelto di essere presente.
Ciatu è esattamente ciò che dice di essere: “la messa in scena del genere umano, nella sua varietà possibile, che si contamina nel linguaggio, si cerca nella parola, si mostra nel gesto e coesiste all’interno di relazioni fatte di specialità ordinarie ed eccezionali.”

Benedetta Intelisano